Prima di entrare qui, chiediti se sei disposto a rinunciare a ciò che ti ha portato qui.

Mi è capitato di trattare molte tipologie di problematiche nella mia carriera di terapista.

In alcuni casi mi è capitato di vedere che la problematica aveva origine soprattutto non tanto da traumi fisici subiti, o da “over-use” di un determinato distretto corporeo nel tempo, che giustificherebbe usura-infiammazione e dolore di pura origine biomeccanica, quanto da una concomitanza di fattori, fra cui molto determinanti le abitudini di vita.

Essendo l’uomo non una macchina ma un insieme di organi in cui la somma del tutto è più delle sue singole parti, in cui vi sono vissuti ed emozioni ad influenzare il tutto, non si può pensare di risolvere tutto con un approccio puramente meccanicistico. Per questo appunto spesso, da paziente è necessario mettere in discussione il proprio modo di vivere, e ancora più importante, il proprio “modus pensandi” in proporzione a quanto si vuole risolvere la propria problematica.

Tradotto, se non sei disposto a rinunciare a cosa ti ha “portato da me”, come puoi pensare di poter “farti risolvere” passivamente il problema? Non è pagando, anche il miglior terapista del mondo, che potrai risolvere. Al limite potrai tamponare per un po’ il problema, nascondendone temporaneamente i sintomi associati.

Premesso ciò, questa condizione “sine qua non” è valida sia in ambito del dolore cronico che in ambito psicologico. Se non si è disposti a mettersi in discussione, apportando nel tempo un cambiamento, non sarà possibile risolvere il problema, ma al limite si imparerà a sopportarlo meglio, il che è comunque positivo..

L’abbandono della terapia

Questa premessa serve ad introdurre un altro concetto della Terapia. Se effettuando anche un discreto numero di sedute non si apporteranno le modificazioni necessarie, di vita, di abitudini, di “pensiero”, si arriverà ad un punto in cui ci si renderà conto che si, c’è stato un netto iniziale miglioramento, ma che questo poi nel tempo si è stabilizzato ad un livello abbastanza stabile di “fastidio” variamente tollerabile. Scoprendo che se passa abbastanza tempo, con l’allungarsi della frequenza delle terapie, tutto tornerà bene o male come prima. Questo fenomeno porterà inevitabilmente con se un messaggio molto forte e negativo nella mente del paziente, qualcosa del tipo

NON E’ CAMBIATO NULLA

O

Si sono stato meglio all’inizio, ma poi man mano tutto è tornato come prima.”

Insomma, un più generico e riassuntivo

NON HA FUNZIONATO

Quindi ne consegue che si stabilisce un grosso “precedente mentale”, che quel tipo di terapia, quel tipo di approccio, quel terapista, o un mix fra queste, non funzioni ed è quindi un inutile spreco di tempo e soldi andare avanti e si abbandona il percorso terapeutico.

La necessità di cambiamento

Il punto è, da mia esperienza, che spesso nella visione del paziente il terapista sia pagato “per fare”, non per dare indicazioni su eventuali modifiche di vita del paziente. A differenza eventualmente del medico, che è legittimato volendo a dare questo tipo di indicazioni, che però si dimostrano spesso generiche, quindi non vengono recepite come utili o fattibili.

Dal mio punto di vista invece, rimane un po’ l’impressione di essere spesso visto come “solo terapista”, come colui che agisce sul paziente che rimane passivo alle terapie. Che in pratica significa “chi sono io per dirti cosa dovresti o non dovresti fare? Tu mi paghi perché io ti risolva un problema.” Ed è vero.

Il problema è però che certi problemi più di altri, necessitano di modifiche sostanziali di alcune abitudini di vita, qualcosa da togliere, qualcosa da aggiungere o spesso un mix fra queste. Non si tratta di fare solo il “meccanico del corpo”, per cui non si potrà mai trovare soluzione definitiva percorrendo solo questa strada, a prescindere dalla bravura del terapista.

Parlando concretamente, ad esempio se sei alto 160, pesi 85 Kg, sei sedentario, mangi male per cui hai disbiosi ed infiammazione intestinale, non hai vita sociale attiva, non sei iscritto a nessuna società culturale o sportiva che sia, non hai hobbies ne interessi, sei stressato e anche un po’ depresso, motivo per cui non dormi la notte e sei sempre stanco poi il giorno e tutto l’insieme ti rende anche pigro, demotivato ed apatico, per cui (o per colpa di) non hai neanche più un lavoro. Come puoi pensare che un trattamento ogni tanto solo sulla lombare che ti fa male possa risolvere il tuo dolore? Tu stai male per come vivi tutta la tua vita, e in ultimo anche per la schiena che soffre l’eccesso di peso, l’infiammazione diffusa, le posizione “comode” ma errate che tieni per ore sul divano in tutto il tuo tempo libero, senza mai fare un minimo di attività sportiva.. (ovviamente questo è un esempio estremo giusto per far capire)

Il tuo corpo, quindi la parte meccanica e metabolica, è fatto per muoversi e nel farlo è dimensionato per sostenere il tuo peso ideale. Se pesi il doppio del tuo peso forma, sottoponi il tutto ad uno stress meccanico e metabolico quotidiano per cui il tuo corpo non è fatto. Inoltre un infiammazione diffusa o locale, aumenta sempre il dolore percepito anche in zone che magari normalmente non darebbero alcun fastidio, ed in questo c’entra molto l’alimentazione e l’eventuale sovrappeso (che fra l’altro crea di base un infiammazione sistemica).

In ultimo c’è la parte psico-emotiva, anche questa gioca un ruolo molto importante nella gestione del dolore, in quanto le emozioni e la psiche in genere possono aumentare o ridurre la percezione del dolore stesso, alzando o abbassando anche di molto la soglia del dolore. E tutto ciò senza considerare i fattori ormonali, co-condizionati anch’essi dall’umore (come la serotonina, rilasciata in primis al 80/90% proprio dall’intestino, o gli oppioidi endogeni rilasciati durante l’attività sportiva). In ultimo ma non ultimo per casistica, ci sono poi le somatizzazioni dovute a emozioni represse o non vissute “correttamente” ed “accumulatesi” nel tempo che trovano sfogo nel corpo, come nel caso di ulcere senza la presenza di helicobacter, reflusso indotto da eccessiva tensione del diaframma, dolori cervicali da eccessivo stress accumulato e molto altro..

Pensare quindi di risolvere un problema complicato con una singola terapia, o con l’approccio farmaceutico, è utopistico quanto pensare di risolvere un equazione complessa di quarto grado facendo una somma..   

z^3-iz^2-(1+i)z+2i=0                  ≠           1 + 1 = 2

Purtroppo la medicina classica spesso in questo si fa complice del paziente “pigro”, proponendo soluzioni “facili e veloci” e a “basso costo”, sia in termini economici (almeno nel breve termine) che in termini di “fatica”, quanto deleterie e dannose, quindi in realtà ben più “costose”, sul lungo termine. Purtroppo il paziente spesso viene visto solo nei suoi sintomi emergenti e trattati singolarmente come tali, tradotto “ti fa male li, prendi questo farmaco qui, se non passa operiamo, se non passa continua a prendere farmaci” a vita magari.. Ben inteso, io non sono contro ai farmaci così come alla chirurgia. Entrambe quando servono sono più che d’accordo ad utilizzarli, a volte sono semplicemente l’unica soluzione attuabile o anche la miglior scelta possibile. Ma io sto parlando di quei casi in cui la soluzione ci sarebbe Naturale, e sarebbe fare un percorso di cambiamento partendo dall’amore verso se stessi.

Il possibile cambiamento

Se ti vuoi bene non ci sono scuse, devi chiederti se quello che stai facendo (o non facendo) ti fa bene. Se così non fosse, o cambi qualcosa, facendoti anche aiutare se necessario da qualcuno più esperto, o prima o poi, inevitabilmente, ne pagherai il prezzo con la salute.

E come ben saprai, non v’è nulla di più importante che la salute, sia per un sano egoismo nel voler vivere bene la propria vita possibilmente per tutta la sua durata, sia nel rispetto ed amore verso i propri cari. E’ infatti anche un atto di altruismo “stare bene”, perché:

– Non si riversa il proprio star male su chi ci è vicino, ma anzi si può essere d’aiuto agli altri, solo appunto, stando bene in primis noi!

– Si può essere la miglior versione di se stessi per chi ci sta vicino. Perché si può aiutare ed amare gli altri solo se prima ci si ama e si sta bene noi stessi! (qualcuno disse anche “ama il prossimo tuo come te stesso!” e quale sia il tuo credo, converrai che non era certo “uno qualunque”..)

Quindi torno a ripetere una frase che ritengo fondamentale:

“Prima di entrare qui, chiediti se sei disposto a rinunciare a ciò che ti ha portato qui!”

Lascia un commento